venerdì 12 febbraio 2010

Se l'adozione fallisce

Perché una madre supera anni ed anni di test e colloqui e poi non riesce a tollerare l'arrivo del figlio adottivo? (di Flavia Amabile)
E’ possibile che dopo anni di colloqui, prove, test, una madre che ha tanto desiderato adottare un figlio lo riduca in fin di vita? E se è possibile vuol dire che la macchinosa e complessa macchina delle adozioni internazionali presenta una falla, ma dove? Marco Griffini, presidente dell’Aibi, associazione degli Amici dei Bambini non ha dubbi: «C’è un vuoto legislativo».
Eppure nelle fasi iniziali delle adozioni le coppie devono sottoporsi anche a otto-nove colloqui da parte dei servizi sociali poi - se tutto va bene - inizia la formazione da parte degli enti autorizzati. Non sembra esserci alcun vuoto. E invece i problemi iniziano dopo. «Quando si torna a casa con il bambino - spiega Griffini - sembra che tutto sia andato bene, che i momenti peggiori siano terminati e invece la parte più difficile inizia proprio in quel momento. La selezione avviene in modo molto accurato, quando il bambino arriva a casa però le coppie vengono lasciate sole. La legge non prevede l’obbligo di accompagnamento nella fase di inserimento nella famiglia, soltanto la possibilità di farlo nel caso in cui lo si chieda. Ma è proprio chi non lo chiede in genere ad aver bisogno di aiuto».
I Paesi esteri, quelli da cui arrivano i bambini, chiedono un’ulteriore attività per seguire i piccoli anche nelle famiglie. «Ma la nostra legge non ha recepito questa richiesta sotto forma di obbligo. Si è preferito privilegiare la libertà delle famiglie», precisa Griffini. Alcune regioni si sono tutelate realizzando dei protocolli operativi che prevedono l’assistenza delle famiglie, ma sono soltanto cinque: Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana. «In queste regioni infatti le adozioni funzionano bene ed è facile anche controllare quello che accade dopo. Nelle altre invece tutto è affidato alla capacità dei genitori di farcela da soli».
Non sempre ce la fanno. Il caso della mamma di Viterbo è molto raro. In genere quando l’inserimento in famiglia non va bene, si crea un fallimento adottivo. Statistiche non ne esistono. Più o meno si sa che sono pochi i casi in cui i bambini vengono restituiti o inviati in case-famiglia per una seconda adozione, più o meno il 3%. «Ma si sa anche - aggiunge Griffini - che per le adozioni internazionali i casi sono la metà di quelli nazionali in cui le procedure di selezione sono meno lunghe».
«I filtri dell’adozione questa volta non sembrano aver funzionato. O forse è mancato un sostegno psicologico alla famiglia, fondamentale nel primo anno, specie quando ad essere adottato è un bimbo non più piccolissimo, che quindi ha già vissuto dei traumi, conferma Anna Oliverio Ferraris , ordinario di Psicologia dello sviluppo all’Università Sapienza di Roma. «Ora il piccolo, oltre al grave trauma fisico - dice la psicologa - si troverà a viverne un altro, perchè probabilmente dovrà trovare una nuova famiglia. È bene sottolineare che i bimbi adottati possono essere anche molto difficili da gestire: a volte possono far arrabbiare i genitori apposta, per metterli alla prova e vedere se li tengono anche se sono stati cattivi. Oppure mostrano segni di immaturità legati alle passate esperienze, o un bisogno di affetto che li porta a sviluppare una grande dipendenza nei confronti dei nuovi genitori, o di ribellione. Oppure sono afflitti da continui incubi notturni. Insomma, l’assestamento può durare anche più di un anno».
«Ecco perchè - evidenzia l’esperta - è davvero importante che le famiglie selezionate siano seguite nel loro percorso iniziale insieme a questi figli nuovi». Non solo, è bene che le coppie che decidono di accogliere un bimbo non piccolissimo «siano molto preparate a quello che può accadere loro, per poter gestire le eventuali difficoltà senza entrare in crisi. Certo - aggiunge la Oliverio Ferraris - l’esplosione di violenza di questo caso sembra mostrare che la famiglia, dunque la madre ma anche il padre (il cui ruolo è molto importante) non era adatta ad adottare un bimbo, almeno di quella età».
Fonte: La Stampa.it

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